Cosa accade al patrimonio quando la famiglia si sfalda…

Cosa ne è delle sostanze di una famiglia quando questa attraversa una crisi, in conclusione della quale il nucleo coniugale viene meno?

Com’è possibile tutelare il patrimonio, la casa (spesso intestata solo ad un coniuge), tutti gli altri beni e risparmi, soprattutto a favore dei figli?

Non si tratta di domande di poco conto, considerando che le conseguenze patrimoniali che seguono ad una separazione o al divorzio mutano anche in base al regime scelto quando si è contratto matrimonio (o anche in seguito), vale a dire comunione o separazione dei beni.

In ragione del primo, tutti i beni (compresi gli interessi derivanti da quelli appartenenti in precedenza ai singoli soggetti; i proventi delle attività; le aziende gestite dalla coppia e costituite dopo l’unione legale o la scelta del regime patrimoniale) spettano a entrambi i coniugi (anche se acquisiti da uno solo dei due).

Fanno eccezione le eredità, le donazioni o i risarcimenti danni, che continuano ad appartenere al solo titolare.

La separazione dei beni invece preserva la titolarità singola dei beni di ciascuno.

È chiaro che in questo secondo frangente i contenziosi per questioni economiche in caso di fine del rapporto coniugale sono “minimizzati”, essendo il patrimonio in buona sostanza già diviso…

Ma cosa accade quando la separazione giunge e il bene in questione non è ancora nelle piene disponibilità dei coniugi, come nel caso di un immobile di cui si sta ancora pagando il mutuo?

La banca esige ovviamente la corresponsione, per cui i pagamenti continueranno a gravare su uno o entrambi i coniugi a seconda del contratto stipulato.

Dunque, che la coppia si divida non è tra “le preoccupazioni” della banca… e non importerà nemmeno chi effettivamente continuerà ad abitare nella casa (per cui può darsi anche la circostanza che il debitore del mutuo non sia poi colui cui viene effettivamente assegnata la dimora coniugale).

È tuttavia possibile modificare le condizioni del mutuo, ad esempio cambiando istituto di credito e facendo risultare come intestatario solo uno dei due della coppia, oppure disponendo che solo un coniuge si accolli il mutuo cointestato.

I trasferimenti patrimoniali ai figli

E questo per quanto concerne gli ex coniugi… ma i figli?

Come spiegano gli avvocati specializzati in diritto di famiglia dello studio legale Arenosto di Milano attraverso le pagine del loro sito, spesso anziché trasferire la casa o l’abitazione all’uno o all’altro molti decidono di trasferirle ai figli, facendo trascrivere la richiesta direttamente nel verbale dell’udienza di separazione o divorzio (pratica fattibile anche nel momento in cui la prole sia minore di età, nel qual caso viene deciso pure quando effettuare concretamente il trasferimento).

Qualora però si tratti di trasferire titoli e liquidità questa procedura non basta, ma è necessaria la presenza di un notaio (come stabilito dalla Cassazione), fatta eccezione per donazioni di “modico valore” (tuttavia non specificato dalla legge).

In particolare, in caso di liquidità, è bene seguire una procedura tracciata, come stabilito dalla normativa antiriciclaggio (adoperando ad esempio la posta elettronica certificata o le raccomandate postali con ricevuta di ritorno).

Quando invece si tratti della titolarità di un’impresa si può ricorrere a:

  • donazione: un contratto consensuale tra le due parti che indica una volontà da perfezionarsi poi a morte del donatore; il valore della donazione va sommato agli altri beni ereditati dal soggetto in questione affinché tutti gli eredi godano dei rispettivi diritti sul capitale
  • patto di famiglia: una vera e propria donazione perfezionata con donante vivente, che consiste nel far uscire l’azienda dall’asse ereditario compensandone il valore a favore degli eredi restanti con altri beni.

Quest’ultimo strumento in particolare rientra nella nuova “fisionomia” che a seguito della riforma normativa del 1975 il diritto di famiglia ha vissuto, caratterizzata da una sempre crescente possibilità di contrattualizzazione tra i coniugi, che sono oggi liberi di concludere:

  • convenzioni matrimoniali: si tratta di accordi aventi ad oggetto il patrimonio che possono essere stipulati in ogni momento della vita coniugale, e che in genere viene adoperato per aderire alla separazione dei beni (dal momento che la comunione dei beni rappresenta il regime patrimoniale “standard” della famiglia), oppure per segregare una parte dei beni stessi nel fondo patrimoniale;
  • accordi di separazione consensuale, istanza congiunta di divorzio, accordi a latere: si tratta di strumenti ai quali ormai i Tribunali attribuiscono rilevanza legale sia in sede di separazione consensuale che di divorzio congiunto, e che nemmeno vengono limitati nel contenuto, a patto che non siano contrari agli interessi preminenti dei figli.

Tuttavia, non solo la famiglia “legale” dispone di mezzi per tutelare il proprio patrimonio: la famiglia di fatto può ricorrere allo strumento del Trust, che consente l’equa conciliazione di tutti gli interessi e le necessità, anche qualora queste siano sopraggiunte in seguito all’interruzione della convivenza.

E tuttavia si tratta di uno strumento adoperabile utilmente anche dalle coppie legali in procinto di separazione/divorzio, essendo finalizzato in particolare ad evitare che i coniugi possano sottrarre beni necessari ai figli (spesso per ripicca nei confronti dell’ex!).

In sostanza, i coniugi vengono privati entrambi del bene conteso, affidato ad un terzo imparziale che lo amministra a beneficio dei figli, evitando così che le influenze emotive possano avere ripercussioni negative sulla vita della prole.

In più il Trust permette di sottrarre i beni vincolati ad eventuali “beghe” economiche che dopo la sua istituzione dovessero eventualmente coinvolgere il coniuge debitore.

Ancora una volta i beneficiari (leggasi figli) risultano (per fortuna) soggetti altamente tutelati…