A cura della psicoterapeuta di Brescia Stefania Ciaccia
“Avrai sentito parlare di quell’astronomo fiorentino che per spiegare l’universo ha usato il cannocchiale, iperbole degli occhi, e col cannocchiale ha visto quello che gli occhi soltanto immaginavano. Io molto rispetto quest’uso di strumenti meccanici per capire, come oggi si suol dire, la Cosa Estesa. Ma per capire la Cosa Pensante, ovvero il nostro modo di conoscere il mondo, noi non possiamo che usare un altro cannocchiale, e che non è né tubo né lente, ma trama di parole, idea perspicace, perché è solo il dono dell’artificiosa eloquentia quel che ci consente di capire questo universo”
Queste, che potrebbero sembrare parole di uno psicologo, sono tratte da L’isola del giorno prima: l’autore, Umberto Eco, sembra aver intuito quanto gli strumenti che abbiamo a disposizione, seppur tecnologicamente avanzati, talvolta da soli non bastano a spiegare la conoscenza in maniera universale.
Ciò accade perché alcune caratteristiche che determinano l’uomo e la personalità non sono certo rilevabili con strumenti scientifici: uno stato come la consapevolezza, ad esempio, non è del tutto misurabile, anche se, grazie alla tecnologia, potremmo oggi rilevare una differenza nell’attività cerebrale, un’alterazione che dimostra il passaggio tra la lo stato di incoscienza e la coscienza.
Una maggiore conoscenza di alcuni meccanismi come la metacognizione, possono aiutare in un percorso di psicoterapia individuale: una buona consapevolezza di sé stessi aiuta a individuare al meglio i comportamenti che influiscono negativamente sulla nostra quotidianità
Oltre la cognizione
Quello che forse Eco non sapeva, è che nel suo libro egli introduceva un concetto molto noto e studiato nel mondo psicologico: la metacognizione, letteralmente oltre la cognizione o pensiero di pensiero.
La metacognizione è la capacità di pensare sé stessi e pensarsi all’interno di una situazione, senza però avere piena consapevolezza del processo in atto.
La “storia” della metacognizione
Uno dei primi psicologi a intuire l’esistenza di questo processo mentale fu Jean Piaget, il quale sottolineò come la capacità del bambino di riflettere sui propri processi mentali risultasse di grande importanza nello sviluppo del suo pensiero.
Un altro importante psicologo che introdusse a suo modo il concetto fu Vygotskij, il quale sosteneva la possibilità di promuovere il passaggio da meccanismi eteroregolatori dell’apprendimento (da un elemento esterno) a meccanismi autoregolatori, dove il bambino è in grado di gestire in maniera autonoma le proprie funzioni mentali.
Le definizioni di metacognizione
Non intendo dilungarmi troppo sulle definizioni teoriche, tuttavia la metacognizione è un concetto psicologico piuttosto astratto, poiché difficile non solo da valutare e misurare, ma anche semplicemente da “immaginare”.
Del resto, per quanto la scienza ci permette di sapere attualmente, non esiste un organo o una parte specifica del nostro cervello propriamente dedicata alla metacognizione.
Possiamo però comprendere il concetto grazie appunto ad alcune sue definizioni: “si tratta di meccanismi di regolazione e controllo del funzionamento cognitivo. Questi meccanismi fanno riferimento alle attività che permettono di guidare e regolare l’apprendimento e il funzionamento cognitivo nelle situazioni di risoluzione del problemi” (Brown, 1978).
Flavell, nel 1976 la definì come “la conoscenza che un soggetto ha del proprio funzionamento cognitivo e di quello altrui e il modo in cui può prenderne coscienza e renderne conto”.
Un esempio di metacognizione
Proviamo a fare un esempio concreto basato proprio sul modello di Flavell:
“Siamo in estate e uscite a piedi a comprare del gelato perché avrete ospiti a cena, mentre tornate a casa trovate un semaforo rosso all’attraversamento pedonale: non scorgete alcuna auto in lontananza e decidete di attraversare”.
Flavell distingueva quattro aspetti della conoscenza metacognitiva:
- le proprie caratteristiche, nel nostro esempio, valutiamo che la velocità del nostro passo ci permetta di attraversare in sicurezza;
- I materiali che si hanno a disposizione;
- le strategie specifiche da attuare in un compito, ad esempio la scelta di attraversare dove ci si trova per risparmiare tempo o fermarsi un secondo e controllare nuovamente se arrivino auto, se correre etc;
- la conoscenza delle condizioni (il gelato che si scioglie e il semaforo rosso).
Penso che tutti sappiamo che attraversare con il rosso è pericoloso e 9 volte su 10 probabilmente attenderemmo il verde, ma la situazione specifica ci ha spinto a valutare la situazione e compiere l’azione di attraversare fuori dalle strisce; e nella quasi totalità dei casi, lo avremo fatto in maniera inconsapevole.
In questo caso si tratta di una metacognizione che potremmo dire più “inconscia” o basata su conoscenze procedurali, che nella concezione odierna vengono affiancate alle conoscenze dichiarative e a un terzo elemento: le conoscenze pragmatiche o condizionali.
…nella psicoterapia individuale
Va da sé che in un percorso di psicoterapia individuale, un’elevata capacità metacognitiva può aiutare a farci rendere conto dei pensieri e comportamenti disfunzionali che stiamo attuando, favorendo la collaborazione tra utente e psicologo.
Ad ogni modo, è importante sottolineare come la metacognizione sia un elemento analizzato e sfruttato maggiormente nell’insegnamento e nella didattica, piuttosto che nella psicoterapia individuale.