Post coronavirus aumentano disturbi alimentari e malessere 

Il coronavirus ha comportato uno stravolgimento della vita mai visto probabilmente dal dopoguerra, comportando un aumento della sensazione di precarietà, fragilità, disorientamento anche dal punto di vista psicologico.

Passato il lockdown del coronavirus, le persone possono affrontare dei problemi psicologici non da poco conto, è l’allarme lanciato dagli psicologi e dagli psichiatri.

Sensazioni come solitudine, paura, disorientamento, sono sempre più diffuse, e possono condizionare pesantemente la vita delle persone soprattutto di quelle più fragili, ad esempio i giovani, come ci spiega la dott.ssa Bellini psicologo a Bologna specializzato nei disagi giovanili.

I giovani nella maggior parte dei casi hanno visto interrotta la loro vita sociale di relazioni, la continuità degli studi, e sono tante anche le paure correlate al mondo del lavoro che se già non godeva di buona salute, post coronavirus rischia di essere ancora più complesso.

Secondo gli psicoterapeuti, stiamo vivendo un momento molto delicato per la salute psicologica dopo il coronavirus.

I cambiamenti della nostra vita, l’isolamento forzato, ma anche la paura installata dai media possono scatenare preoccupazioni, ansia, paura, disagio, specie negli anziani, già isolati dal punto di vista sociale ed anche terrorizzati da una martellante campagna di allarme trasmessa per mezzo dei media.

Molti hanno la sensazione che, col lavoro a remoto, il cervello non stacchi mai del tutto. Si sente la dimensione dell’alienazione e manca la routine con i colleghi, il luogo di lavoro, l’interazione sociale.

E molti fanno fatica a conciliare la famiglia con il lavoro a remoto, specie se in zone piccole, o case dalla metratura limitata. Il coronavirus quindi ha approfondito dei solchi di disagio o di instabilità che certamente esistevano anche prima, ma ha anche amplificato l’ansia e il disagio che derivano dalla forzatura dell’interruzione dei contatti sociali e della rete relazionale che è indispensabile per il benessere dell’essere umano in ogni età.

 Lockdown e dipendenza tecnologica

Una delle spie del disagio psicologico può consistere proprio nell’abuso tecnologico.

Il lockdown del coronavirus ci ha colti in un momento in cui le connessioni tecnologiche sono più forti che mai: tutti usiamo app di messaggistica, social, smartphone.

Soprattutto gli adolescenti possono aver vissuto con sofferenza questo periodo ed essersi attaccati alla tecnologia per mantenere un minimo contatto con ‘la vita di prima’. Non avendo altra valvola di sfogo, essendo stato vietato persino uscire di casa, fare sport e via dicendo, gli adolescenti si sono isolati nel mondo tecnologico, fatto di pc, internet, serie tv, social e smartphone a go go.

Anche la didattica a distanza non ha fatto altro che tagliare i fili della rete sociale, per tutti: dai ragazzini più piccoli agli studenti universitari.

La rottura della routine di alzarsi la mattina, andare a scuola, stare coi compagni si è sentita. I giovani spesso non hanno più orari: c’è chi mangia davanti al pc, chi sta sveglio fino a tarda notte su internet. Sempre connessi, anche per fare lezione e per studiare, per la chat con la classe o i professori. Gli unici contatti con gli amici? Su smartphone.

Fra videogiochi, social, app, questa clausura forzata può aver quindi incrementato la dimensione della dipendenza tecnologica che comunque per le ultime generazioni era già molto accentuata.

Ma non è un problema che riguarda solo i giovani. Per gli adulti, lo smart working può essere anche una scusa per lavorare di più e non riuscire a creare un solco divisorio fra vita privata e lavorativa. Un italiano su cinque ha sperimentato noia, malessere, ansia, isolamento sociale dopo aver provato lo smartworking continuato (e che continuerà ancora per tutta l’estate per molte aziende).

Insomma, il Lockdown coronavirus può aver fatto danni anche più gravi di quelli che pensava di risolvere.